Mama mia (mi son stufa)

di Angelo Mazza
Trascrizione per Coro Misto di Alberto Cremonesi 

E' una delle più note canzoni lombarde di filanda pubblicata nel 1940 dal Dopolavoro Provinciale di Milano nell'antologia “I canti della filanda. Vecchie canzoni delle Filandere brianzole” a cura di Giacomo Bollini e Attilio Frescura.

Difficile dare una collocazione geografica a questo brano, tante erano attorno agli anni 1920-1930 le filande in Lombardia in modo particolare in Brianza, che però calza a meraviglia con il lodigiano perché oltre ad avere una marcata vocazione agricola, il tessuto socio economico gravitava, in particolar modo per le lavoratrici le quali solitamente erano giovani ragazze, sul “fabricon” (Lanificio Cremonesi – Varesi & C.) e sul “linificio” (Linificio – Canapificio – Nazionale).

Le ragazze erano scherzosamente chiamate dai giovani lodigiani “le vunce” per il loro aspetto giallastro e fuligginoso, all’uscita dalle fabbriche, al termine dei turni massacranti di lavoro in cui le lavoratrici dovevano erano sottoposte a pesanti controlli:
  • “Cal e poc” erano prove di quantità sul filato prodotto, in particolare il cal si verificava quando la quantità di scarto superava i limiti consentiti; il poc invece quando la filandera, pur rispettando la proporzione fra filato e scarto, aveva prodotto poco filato.
  • Il pruvìn era una verifica sulla qualità del filato. Dopo un certo numero di esiti positivi, la filandera poteva guadagnare la mansione di Maestra o Mistra, con un incremento significativo della paga.
Condizioni di lavoro pesanti come quelle sopra descritte danno origine al “canto di protesta”, che talvolta assume toni violenti e crudi dove, la sospirata liberazione dall'ambiente chiuso dei paesi di campagna si rivela una condizione ancora peggiore. Si finisce per desiderare il ritorno alla campagna, di fronte ad uno sfruttamento inimmaginabile. E l'invettiva ai padroni non è fatta a mezzi termini:”el mestè de la filanda, l’è el mestè degli assassini…” e, per sottolineare maggiormente queste condizioni, il testo diventa in italiano: “Siam trattate come cani, come cani alla catena…”.

Qui entra in gioco la capacità musicale di Angelo Mazza. Attraverso momenti di grande intensità emotiva, rappresenta lo svilupparsi della protesta attraverso l'uso del “crescendo” (fino a sette voci) che culmina con un “forte” nel pieno della protesta. Mamma mia non è solo protesta e nemmeno canto di rassegnazione. I toni si rasserenano, tutto torna tranquillo ed emerge il canto di speranza: la speranza di una vita migliore e salubre, una volta tornati alla campagna.

E’ uno dei canti più belli e intensi che, assieme a quel genere di canti delle mondine, possono rappresentare un momento della nostra storia e della nostra vita che abbiamo sentito solo raccontare dalle nostre nonne.

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