Repertorio - Donna Padana di Giacomo Monica


Sul fiume Po scorrono tante storie, racconti,memorie e tradizioni. A volte capita che le tradizioni risalgano la corrente, come i salmoni, e si riproducano lungo le sponde lodigiane del grande fiume. Il lodigiano è terra bassa, dove nei secoli si sono sedimentati il fertile limo delle alluvioni e le tradizioni del transito di popoli dominatori o in pellegrinaggio verso Roma. Il brano "donna padana" raccolto ed armonizzato da Giacomo Monica, musicista parmense, ha la peculiarità di essere scritto nel perfetto dialetto lodigiano, che si pone tra i vernacoli milanese ed emiliano, ed avere una struttura che richiama canti popolari rinascimentali, comuni nelle osterie e nelle feste di paese della val Padana (come la Pavana, la Gironda,la Tourdìon di provenienza provenzale tardomedievale).


Din don campana l'è morta la so mama
din don campana l'era donna padana

din don din dela sposa bionda e snela
din don din dela Emanuela.

din don din dela 'l marì 'l g'ha portà jela
din don din dela dorma Emanuela.

Sento una campana che segna la sera
col suo din don din don........
Il testo è una filastrocca che parte dal suono della campana, onnipresente nei nostri borghi, che da lontano annuncia, con i suoi rintocchi, le ore della giornata, ma anche i momenti più importanti della nostra vita, come i matrimoni o i funerali. Rintocchi che crescono, si alternano e si espandono lungo tutto il brano e lo chiudono tra un crescendo ed un diminuendo che và morendo nella vibrazione dell'ultimo battito. Al rintocco della sera, arriva il momento di chiudere gli occhi e di sognare...

Il commento del nostro maestro

La musica tradizionale è legata indissolubilmente ai luoghi e alle genti delle montagne, delle vallate e delle pianure. In particolare le feste popolari, e i riti legati al calendario, fanno rivivere le forme più vitali della cultura contadina scandita dal ritmo dei cicli naturali della terra.
La cultura popolare, la musica popolare: “Un filo sottilissimo che continua nel tempo ad allungarsi e non si spezza, un lontano passato che ritorna e per esigenza si annida nel presente con una veste nuova, il coro…”
Forse niente, meglio di queste parole dell’autore, il Maestro Giacomo Monica, spiega il senso vero di un canto. Di come il canto e la musica siano sempre stati un'esigenza fondamentale nella vita di tutti i giorni.
Qui emerge l’attenzione del ricercatore (il Maestro Monica) verso tutto il “materiale sonoro” di quel mondo antico:
- le parole in dialetto, molto vicino al lodigiano, soprattutto quello della parte centro meridionale del territorio che non risente ancora delle influenze del piacentino ma già abbastanza diverso da quello del capoluogo;
- le campane, che segnavano il ritmo della vita dei campi (ave, mezzodì e vespro) ma che erano anche portatrici di lieti eventi (feste, matrimoni) così come di eventi meno lieti (funerali, incendi che spesso succedevano nelle cascine, alluvioni…).
- Il testo, riconducibile alle filastrocche dei nostri nonni (“Din don basilón, tre campane sul balcón”; “ Din dón danda pópi de Pivànda…”), qui latore di una brutta notizia, ma con quella sottile ironia tipica della filastrocca (el marì el gh’à portà iela) che nella seconda parte sembra più un dialogo tra comari (l’è morta lo so mama….la donna padana…la sposa alta e snela….l’Emanuela…) che emerge tra uno scampanio e l’altro.
Questa ricchezza di elementi ci ha portato ad inserire questo canto nel nostro repertorio, “lodigianizzandolo” quasi a sopperire ad una carenza di armonizzazioni di canti di una tradizione che sta ormai scomparendo lasciando spazio alla frenesia del vivere moderno.
Un canto in cui la cultura classica (basti pensare alla fuga che inizia la seconda parte del brano) si innesta su quella popolare, diffondendola ai giorni nostri come cultura ancora “viva”. Un lavoro sapiente di armonizzazione, elaborazione e composizione.